La mia foto preferita di questo 2020 è l’immagine mentale che mi sono fatto della carcassa spiaggiata del capitalismo. Ma facciamo finta che non sia andata così, facciamo che il vecchio agonizzante abbia trovato il sangue per prolungare la sua esistenza vampiresca fino alla scoperta dei viaggi interstellari e sia riuscito a propagarsi nell’universo nelle stive delle astronavi, un po’ come la peste del 1347. Ecco, con The Outer Worlds quello che abbiamo per le mani è uno space horror che capovolge i canoni, un The Thing portato dalla terra nello spazio, pronto a colonizzare pianeti lontanissimi dal nostro, prosciugarne le risorse, scombinarne gli ecosistemi.

Per fare ciò occorre un governo di plutocrati idioti e senza scrupoli, dei media completamente asserviti al potere, una società classista e lobotomizzata, del tutto irretita nel culto della produttività, megaditte galattiche che si spartiscono il mercato sprezzanti di ogni diritto civile e di qualsivoglia norma di sicurezza/igiene/altro, una burocrazia pervasiva in ogni aspetto della vita, nonché fonte inesauribile di gag. Va detto che Alcione sarebbe una galassia orribile anche senza tutte queste sciagure: i pianeti sono rocce semideserte e invivibili, fauna e flora sembrano essersi evolute col solo scopo di scannarsi a vicenda e l’atmosfera uccide a poco a poco chiunque la respiri (un po’ come nella Bassa padana, ma almeno senza nebbia). Sfido che poi uno si butta con tutto se stesso sul lavoro. 

Questo è un po’ il sunto della situazione in cui si precipita (letteralmente) appena usciti dal surgelatore. Sta al giocatore quindi decidere da che parte schierarsi, che fazione agevolare e quale invece bistrattare. Niente di nuovo sotto il sole per i fan: dopotutto, il sistema di reputazione e le relative conseguenze sull’intreccio sono un po’ la specialità della casa. Ciononostante, chi si aspetta la profondità tipica dei GDR di Obsidian rimarrà un deluso. Perché, in fondo, The Outer Worlds non è che un Fallout: New Vegas alleggerito in molte delle meccaniche ruolistiche.

Niente di male, intendiamoci, tutt’altro. E poi certe cose non si perdono da un gioco all’altro, come la qualità della scrittura dei dialoghi e un sistema che permette di sfruttare le qualità dei compagni d’avventura, oltre che le proprie, nelle dispute verbali. E poi c’è quella cosa, che per me è il marchio di fabbrica di Obsidian, ed è la capacità di instillare il dubbio di aver preso la scelta sbagliata in ogni caso, riflesso di una scrittura fatta di sfumature e situazioni ambigue. Esplorando la galassia però i nodi vengono subito al pettine. I mondi infatti si rivelano vuoti contenitori senza molti punti d’interesse e che di certo non invogliano l’esplorazione.

Proseguendo nell’avventura, ci si accorge piuttosto in fretta che gli oggetti raccolti non sono che la riproposizione aggiornata dello stesso modello – anche se, in effetti, potrebbe trovare giustificazione nel sistema di produzione seriale che vuole l’upgrade di un prodotto piuttosto che la creazione di un modello tutto nuovo. Pessime invece – e senza molte attenuanti – sono le missioni secondarie, queste sì segno di un lavoro raffazzonato. A metà 2020 dovrebbe essere assodato che fare i corrieri avanti e indietro in una mappa fatta di muri invisibili, texture slavate e palette marroni non è proprio l’aspirazione di un videogiocatore (a meno che non ci si costruisca sopra una sovrastruttura di metariferimenti e paraculate post-postmoderne, comunque poco divertente). La stessa qualità scadente la si ritrova poi anche nelle missioni dedicate ai personaggi di supporto, cosa che si riflette in una caratterizzazione appena abbozzata degli stessi.

Tuttavia, alla luce di quanto scritto, non me la sento di bocciare completamente The Outer Worlds. Sarà per l’affetto che provo nei confronti di Obsidian, sarà per la volontà di autoconvincermi di non aver buttato dei soldi, ma trovo che sotto sotto qualcosa di buono ci sia e che risieda nell’ironia che caratterizza ogni riga di dialogo o di testo all’interno dell’avventura. Il fatto che si tratti di un gioco a basso budget non giustifica la sua dozzinalità, ma le due cose messe insieme giustificano l’attesa per l’acquisto a prezzo di cestone.



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